Sul valore dell’associazionismo

Riceviamo e volentieri pubblichiamo. Per esigenze di spazio, il testo presenta dei tagli. Le parti non pubblicate non stravolgono il significato del testo.

Io non ho mai fatto sindacato ma sono sempre stata iscritta perché ho sempre pensato che fosse importante condividere la cultura di una comunità omogenea. Io non ho mai fatto sindacato ma un po’ di turismo sindacale si, aderendo, tempo per tempo, a quella sigla che, a mio giudizio, meglio dimostrava sensibilità verso i temi che io ritenevo primari. Oggi vedo i rappresentanti sindacali relazionarsi con i lavoratori non iscritti e mi sembra che la cosiddetta crisi della rappresentanza non dipenda da basso valore della proposta ma dalla non volontà di essere rappresentati. In altri termini, mi sembra che non ci sia la volontà di condivisione che animava la categoria e che ognuno pensi solo per sé. Ho ragionato su questo fatto senza nostalgie e sono arrivata alla conclusione che le organizzazioni di rappresentanza si siano auto-infilate in vicolo cieco che le ha portate a pagare per colpe non proprie e cioè si siano assunte la responsabilità di problemi che non hanno titolo di risolvere. Purtroppo (e dico purtroppo) il sindacato non ha usato la propria esperienza per mostrare ai lavoratori che si aspettavano troppo, compromettendo in questo modo la possibilità stessa di aspettarsi qualcosa. Mi chiedo, a questo punto, se il sindacato avesse alternative o se la forza dell’affermazione soggettiva fosse talmente pressante che le si poteva solo andare dietro. In altre parole, è mio parere che si sia passati dalla forza della volontà della categoria alla forza della volontà dei singoli che la compongono e quando le condizioni di contesto sono mutate, e si è passati dal VAP più alto della  categoria alla difesa dei principi irrinunciabili e non negoziabili il sindacato si è trovato a dover contrastare l’idea di non essere rappresentativo. E qui è scattato il circolo vizioso: non soltanto il sindacato si è trovato ad essere ritenuto responsabile della mancata risposta a domande che nemmeno avrebbero dovuto essere poste, ma ha speso tante delle proprie energie per raggiungere obiettivi che non gli competevano, compromettendo la possibilità di raggiungere quelli che invece gli competono. Ora, per dare un senso a questa riflessione che vi ho inviato, penso che dovrei suggerire qualcosa. Io non so cosa suggerire e quindi mi limito a dire questo: forse i colleghi dovrebbero mettere un po’ in disparte i propri bisogni e la necessità di scaricare sul rappresentante sindacale le proprie mozioni negative: paura, rabbia, senso d’impotenza (perché questo è ciò che si respira), ed i rappresentanti sindacali, per parte loro, non dovrebbero essere così titubanti nello spiegare che per discutere con l’Azienda ci vuole mestiere e spiegare, anche se capisco che non è facile, che non è possibile aiutare compiutamente il singolo se prima non si afferma il peso di una comunità forte, dalla quale nessuno si può sottrarre.  

 

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